Malattia professionale: rischi per l’azienda

Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali offre questa definizione generale di malattia professionale “qualsiasi stato morboso che possa essere posto in rapporto causale con lo svolgimento di una qualsiasi attività lavorativa”. Per le imprese, quando un dipendente subisce le conseguenze di una malattia professionale possono sorgere responsabilità (economiche e giuridiche) più o meno serie a seconda del grado di responsabilità che risulta a loro imputabile.

È infatti preciso compito del datore di lavoro mettere in campo tutte le procedure previste dalla legge per garantire un ambiente di lavoro sicuro, minimizzando i rischi per la salute dei dipendenti e informando, inoltre, i collaboratori sui pericoli specifici delle loro attività.

Cosa rischia l’azienda in caso di malattia professionale e cosa comporta la malattia professionale per il datore di lavoro?

Malattia professionale: quando ci sono i requisiti?

La malattia professionale è detta anche tecnopatia e può manifestarsi quando i lavoratori subiscono un’esposizione prolungata a un fattore di rischio presente nel loro luogo di lavoro abituale. Tra la patologia e il rischio deve, ovviamente, esserci un nesso causale sufficientemente diretto, perché si possa parlare di malattia professionale.

In linea generale si possono distinguere due tipologie di malattie professionali, ovvero quelle tabellate o non tabellate. Che differenze ci sono tra le due?

  • Le malattie professionali “tabellate” sono raccolte in specifiche tabelle, una per l’industria e per l’agricoltura: tali elenchi specificano un insieme di patologie chiaramente connesse con le attività lavorative menzionate, che si verificano entro un periodo massimo dalla fine dell’attività lavorativa (detto appunto periodo massimo di indennizzabilità). Quando il lavoratore manifesta una di queste patologie non è tenuto a dimostrarne l’origine professionale, ma è l’INAIL a dover eventualmente dimostrare in maniera chiara l’origine extra-lavorativa del danno.
  • Come intuibile, le malattie professionali non tabellate non sono presenti in alcuna tabella e l’onere della prova che si tratti di patologie professionali spetta direttamente al lavoratore dipendente che le manifesta.

La responsabilità dell’azienda nel caso di malattia professionale

L’art. 2087 del Codice Civile  prevede che “L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”. È chiaro, quindi, che è proprio il datore di lavoro a essere considerato responsabile civilmente (e in alcuni specifici casi anche penalmente) in caso di una mancata adozione delle misure adatte al contesto lavorativo o al settore di riferimento.

È bene ricordare che le imprese che hanno alle dipendenze anche un solo collaboratore sono tenute a stipulare un’assicurazione INAIL contro gli infortuni e le malattie professionali: la presenza di tale assicurazione può comportare un parziale esonero dalla responsabilità civile del datore di lavoro, nei casi in cui la patologia sviluppata può essere imputata alla condotta del lavoratore o dei soggetti incaricati della sorveglianza.

Il datore di lavoro, inoltre, può dover rispondere per i danni causati da un fatto illecito dei preposti a cui ha delegato le funzioni di garanzia (secondo l’art. 2049 del c.c.) ed è quindi considerabile responsabile quando la mancata adozione delle idonee misure di sicurezza sia attribuibile a una persona da lui posta a gestirle.

Invece, egli può essere sollevato dalla responsabilità civile se:

  • viene imputata a terzi una responsabilità penale per la condotta alla base della malattia professionale;
  • in caso di dolo del lavoratore;
  • in caso di una condotta del lavoratore che non ha rapporti con lo svolgimento dell’attività lavorativa, o che sia imprevedibile o esorbitante rispetto ai limiti da essa imposti.

Il dipendente vittima di una malattia professionale può avviare un’azione civile nei confronti dell’azienda presso cui lavora, in alcuni casi specifici:

  • quando la malattia è dovuta a fatti imputabili al datore di lavoro o ai suoi diretti incaricati (si configura quindi il reato di violazione delle norme relativa alla prevenzione dei rischi sui luoghi di lavoro);
  • quando viene accertata con una condanna definitiva la responsabilità penale del datore di lavoro o dei suoi incaricati;
  • quando un giudice prevede un indennizzo superiore a quello erogato dall’INAIL.

Prestazioni a carico del datore di lavoro in caso di malattia professionale

Una delle domande più frequenti quando si parla di questa tematica è quella relativa al nesso tra la malattia professionale e il licenziamento: è possibile per il datore di lavoro recedere dal contratto in caso di malattia professionale del suo dipendente?

Sostanzialmente il lavoratore che subisce gli effetti di una malattia professionale ha il diritto alla conservazione del suo posto di lavoro, nei termini del periodo di comporto (art. 2110 c.c.) ovvero un numero massimo di assenze per malattia stabilite nel suo contratto o nel CCNL do riferimento. Il licenziamento durante questo periodo è da considerarsi nullo.

Quando, invece, la malattia professionale è causata da una violazione delle norme in merito alla salute e alla sicurezza negli ambienti di lavoro, l’azienda non può licenziare il dipendente neanche dopo il superamento del periodo di comporto.

Una volta trascorsi i giorni previsti, invece, il datore di lavoro può procedere con il licenziamento, purché sia chiaro a livello causale e temporale il nesso tra il provvedimento licenziamento e il superamento del periodo di comporto previsto. Esistono, tuttavia, malattie considerate particolarmente gravi, che permettono al dipendente di conservare il suo posto di lavoro anche oltre il lasso di tempo previsto a contratto: a lui l’onere di informare l’azienda della tipologia di malattia che sta affrontando prima che questa eserciti il diritto di recesso.

Cosa deve fare il datore di lavoro in caso di malattia professionale? Quando la malattia professionale comporta un’inabilità al lavoro (temporanea e assoluta), il datore di lavoro deve erogare:

  • il 100% della retribuzione per il giorno in cui si è manifestata la patologia, se ha provocato un’astensione dal lavoro);
  • il 60% della retribuzione per i 3 giorni successivi.

L’INAIL corrisponderà, invece:

  • un’indennità del 60% della retribuzione giornaliera del dipendente dal 4° giorno successivo e fino al 90° giorno di astensione dal lavoro;
  • il 75% della retribuzione dal 91° giorno, fino alla completa guarigione.

Non è raro che i CCNL prevedano un’integrazione economica dell’indennità INAIL da parte del datore di lavoro per tutto il periodo di conservazione del posto di lavoro.

Dopo il licenziamento chi paga la malattia professionale, se questa comporta un’inabilità permanente parziale o assoluta al lavoro? In questo caso si applica il sistema indennitario previsto per danno biologico: la prestazione economica viene stabilita rispetto alla gravità del danno e, tolta una franchigia per invalidità fino al 6%, può essere corrisposto un indennizzo per invalidità fino al 16% oppure una rendita per le invalidità più gravi.

In caso di morte del dipendente, spetta ai superstiti una rendita calcolata in base alla retribuzione annua del lavoratore deceduto.

La dermatite da contatto è una malattia professionale: evitala con Nettuno

Sono numerosi i rischi presenti nei contesti lavorativi, che possono scatenare diverse malattie professionali afferibili a numerose tipologie di pericoli, quali:

  • esposizione al rumore;
  • esposizione alle vibrazioni;
  • esposizione ai campi elettromagnetici;
  • esposizione alle radiazioni UV;
  • esposizione a sostanze nocive (solventi, silicio, amianto, metalli pesanti e così via);
  • esposizione a stress psicofisici;
  • esposizione a movimenti o posture scorretti.

Questo ampio insieme di rischi può comportare danni permanenti alla vista, all’udito, al sistema nervoso, alla psiche, al sistema muscolo-scheletrico, ma anche alla pelle. Le dermatosi contratte nell’ambito lavorativo sono senza dubbio tra le più diffuse malattie lavorative, specialmente in alcuni ambiti occupazionali (ad esempio, per chi opera nell’edilizia, per gli agricoltori, per meccanici e metalmeccanici, per i conciatori, ma anche per medici e infermieri, fabbri, tipografi, serramentisti o saldatori).

È per questo che la ricerca Nettuno verte, da ormai cinque decenni, sulla formulazione di prodotti performanti per la protezione, il lavaggio e la cura della pelle.

Scongiurare efficacemente le dermatiti di origine professionale è possibile, grazie soprattutto a una cultura condivisa della salute, che coinvolga in processi validi sia i datori di lavoro, che gli RSPP e i lavoratori stessi.

Adottare in azienda le migliori precauzioni di igiene e mettere a disposizione i prodotti Nettuno dedicati ai professionisti può essere un’idea decisamente smart per abbattere il rischio di malattie professionali. Essere a norma con le leggi vigenti in termini di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, inoltre, può evitare alle imprese di essere coinvolte in cause civili, potenziali responsabilità penali, danni economici e pericolosi cali produttivi dovuti all’assenza dei dipendenti.

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